Non ce l’aspettavamo

by Irina

No. Non ce l’aspettavamo proprio.

Noi nomadi e viaggiatori  pensavamo che nulla potesse impedirci di spostarci, di continuare a viaggiare.

Pensavamo che dipendesse esclusivamente da noi, dalle nostre scelte, dai luoghi che decidevamo di visitare.
Il nostro motto dell’anima era #viaggiaresempre, al di là di tutto.

Sceglievamo la data, poi la meta in funzione del clima in quel periodo – rainy season? Ah allora no, vediamo se invece  “lì”  è stagione secca –  se un paese era in balia di tensioni politiche o conflitti ne stavamo alla larga, se la terra aveva appena tremato troppo in una zona o un vulcano aveva sbuffato più del consentito guardavamo altrove, se i terroristi si erano incaponiti con un territorio lo evitavamo come la peste.

Ecco la peste. Sì, la peste.

In un attimo tutto è cambiato.

Abbiamo cominciato con l’evitare gli abbracci con gli amici, le strette di mano con i colleghi, i clienti, i fornitori.

Abbiamo deciso che forse andare fuori a cena diventava pericoloso ed era meglio rimanere in casa, fino a capire che il pericolo era potenzialmente ovunque e dovevamo fare di più, non solo per noi, soprattutto per gli altri.
Per i più esposti, presenti in ognuna delle nostre famiglie.

E mentre ci accorgevamo che qualcosa di più grande di noi stava per capitare… il tempo si è fermato, di colpo,  stravolgendo il ritmo delle nostre giornate, lo spazio si è ridotto, improvvisamente, confinandoci al nostro angolo di casa.

Il mondo è diventato piccolissimo.

E tutti noi, casa dopo casa, città dopo città, paese dopo paese, ci siamo scoperti vulnerabili, segnati dallo stesso ineluttabile destino.

Tutti uguali. Poveri e ricchi, di qualunque paese, etnia e lingua.

Le nostre conversazioni sono cambiate, prima cercando di esorcizzare la situazione, poi volendo solo capire seriamente di più. Siamo diventati preoccupati, nervosi, a volte ansiosi, confortandoci gli uni con gli altri.

Voi avete capito prima di altri e state dando l’esempio al mondo, voi che vivete nel nostro Bellissimo Paese,  vicinissimo nell’anima ma mai così irraggiungibile, voi che avete la consapevolezza che ci si deve provare, che questa è l’unica strada percorribile per evitare l’inevitabile.

E intanto fuori c’è  il mondo.

Qualche paese in questi giorni ha cominciato a capire, altri rifiutano di farlo e aspettano ancora, ed altri ancora, come il meraviglioso arcipelago che ci ospita, pensano di non potersi permettere un lockdown date le caratteristiche del paese stesso.

E allora noi,  dall’altra parte del mondo, forti dell’esempio che ci avete dato, abbiamo la certezza che se continueremo a vivere il nostro quotidiano come niente fosse, in attesa di direttive governative più stingenti, il prezzo da pagare per la popolazione sarà altissimo, dato il numero enorme di abitanti, più di 270 milioni e un sistema sanitario assolutamente impreparato a gestire questa difficilissima situazione.

Voi avete scoperto medici ed infermieri eroi, che oltre alla preparazione stanno dimostrando uno spirito di abnegazione in-cre-di-bi-le, e questo è in qualche modo rassicurante, nonostante la carenza di posti in rianimazione.

E noi qui a Bali cosa facciamo?

Ci autolimitiamo nei movimenti, abbiamo messo in atto  procedure aziendali e suggerito ai colleghi comportamenti idonei anche a casa, ma da soli la strada è lunghissima, se non impossibile.

Le scuole sono chiuse da ieri, i voli dai Big 4 ancora vietati (Cina, Italia, Iran e Corea del Sud) e da oggi anche le piccole isole Gili hanno chiuso i battenti.
Nell’ultimo mese purtroppo i turisti hanno continuato ad arrivare ignari di tutto e solo ora stanno capendo che il momento storico richiede di rientrare nei propri paesi di residenza.
Forse è ormai tardi e temiamo che a breve cominceremo a contare anche noi.

Siamo tutti appesi.

Appesi ad un grafico, che deve poter crescere per cadere in picchiata.

Per azzerare tutto.

Per dimostrare al mondo che il “Sistema Italia” ha funzionato, e permettere a tutti di tirare un respiro di sollievo.
Dopo la Cina anche l’Italia e allora, forse, anche gli altri seguiranno l’esempio.

Ma non è certo.

Qui speriamo anche nel clima, questo caldo caldo non è mai stato piacevole come in questo momento, e nonostante non sia affatto provato che inibisca il contagio noi ci speriamo, e analizziamo, fingendoci esperti, i grafici dei paesi che ci circondano. Sulla carta sono incoraggianti.

Incrociamo le dita, amici.

Voi lì, Noi qui.

E anche se non ci contiamo troppo continuiamo a sperare di poterci vedere a fine giugno, come tutti gli anni, dopo esserci messi 15 giorni in quarantena, da bravi bambini.

A presto…

Iri e Beppe

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